Quando l’ ora del lupo guaisce (tappa 3, Porretta Terme)

“Ma che cosa c’è in fondo a questa notte, quando l’ ora del lupo guaisce
e il nuovo giorno non arriva mai,
mai e il buio è un fischio lontano che non finisce
di minuti lunghi come il sudore,
di ore che tagliano come falci
e i tuoi pensieri solo un cane in chiesa
che tutti prendono a calci…” (*) tratto da “Signora Bovary”

È successo lo scorso anno. Ero in Abruzzo e stavo fotografando, dopo il tramonto, la Rocca di Calascio. Ad un certo punto ho sentito ululare. C’ero io, i lupi in lontananza e la Rocca. È stato come nel film: “Lupo ululà, castello ululì”. Scherzi a parte ho avuto un bel po’ di fifa.

Quella del lupo è da sempre una figura romantica ma che incute anche paura. Tutti ricordiamo con affetto il “Balla coi lupi” di Kevin Costner. Ma ricordiamo anche con paura la figura del lupo in tante fiabe.

Da parecchi anni i lupi stanno tornando a popolare le nostre montagne. E a e piacerebbe sapere qualcosa di più in merito a questa presenza.

Per questo motivo ho intervistato Andrea Bortolini che, diversi anni fa, partecipò a un censimento dei lupi sull’Appennino bolognese.

L’intervista è qui sul PODCAST di Radio Frequenza Appennino

Dove finisce la città, dove il rumore se ne va (tappa 3, Porretta Terme)

“Dove finisce la città, dove il rumore se ne va
C’è una collina che nessuno vede mai
Perché una nebbia come un velo la ricopre fino al cielo dall’eternità” (*) tratto da La collina di Francesco Guccini

Sono arrivato a Porretta Terme. La canzone che mi accompagna questa sera è “La collina”. Perchè? Ma perchè questo è il posto “Dove finisce la città, dove il rumore se ne va”. Almeno così è per me.

Io vedo Porretta come l’ultima propaggine dell’area metropolitana bolognese. Poco più avanti inizia la selvaggia montagna pistoiese. Qualche anno fa, compiendo la traversata da Campeda a Pàvana, iniziai a pensare a quella come la famosa collina della canzone. E in cima, nel ruolo del “prenditore” (ovvero il “Catcher in the Rye” del giovane Holden), io ci immagino Francesco Guccini (che qui ci vive per davvero).

Potrà sembrare una scemenza. Ma non è così. Cosa sono cantanti, musicisti, artisti… se non dei “catcher in the rye” che, con la loro arte, ci elevano dalla vita quotidiana “per impedire che qualcuno cada giù” e si perda nel tran tran della vita quotidiana?

Di tutto questo ho parlato con Graziano Uliani nel podcast di oggi

Dentro alle nuvole di fumo del mondo fatto di città (tappa 2: Riola)

“…dentro alle nuvole di fumo del mondo fatto di città,
essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà
e un Dio che è morto…” (*)
(*) tratto da Dio è morto

Ho visto la luce! Quasi come John Belushi, anche se io non sono “in missione per conto di Dio”,
La prima sensazione che ho provato, entrando nella chiesa di Riola, è proprio quella di un’onda di luce che ti avvolge garbatamente (e non ho usato il termine “onda” a caso).

Quella di Riola, unica opera in Italia del grande architetto Alvar Aalto, è tante cose, tutte insieme. Questa chiesa è un concreto esempio di ecumenismo (l’alto prelato cattolico che affida il lavoro ad un architetto luterano). Ma è anche un simbolo della rivoluzione liturgica appena scaturita dal Concilio Vaticano II. Fortemente voluta dal Giacomo Lercaro, il “cardinale delle periferie”, è stata costruita dopo un’odissea durata un decennio..
La Natura è al centro della visione di Aalto e della sua architettura. Quella che irradia la chiesa è una Luce che avvolge ma senza abbagliare. E’ una “onda” di Luce che entra da quelle enormi vetrate e avvolge tutta la navata. L’onda è anche quella richiamata dalla forma della copertura. E lo stesso concetto ritorna anche nel nome dell’architetto: Aalto significa Onda. Un mare di Luce avvolge questa strana chiesa di montagna.

Quando vedi, per la prima volta, questa chiesa e pensi al suo progettista un’immagine ti entra nella testa: pensi subito ad una “cattedrale nel deserto”. E probabilmente è per questo che fu tanto osteggiata anche dalla Chiesa.

Poi quando conosci tutta la sua storia capisci che questa meravigliosa chiesa poteva sorgere solo qui, in mezzo alle montagne bolognesi. Qui dentro si condensano tante cose: gli ideali di riforma del Vaticano II, l’incontro con Aalto e la sua idea di architettura che si rifà alla Natura, l’affetto dei parrocchiani per questo progetto, l’impegno del Cardinale per le periferie…
E poi, ultima ma non ultima, la famosa omelia del 1 gennaio 1968, quella nella quale Lercaro, invocava la fine dei bombardamenti sul Vietnam del Nord. Quell’omelia della Pace che costò, al coraggioso Cardinale, la rimozione per intervento di Roma. Già, perchè la Luce che qui a Riola illumina garbatamente qualche volta può accecare gli uomini e indurli all’errore.

Di questi argomenti ho parlato con Lucia Bartoloni parrocchiana e catechista di Riola che, durante la prima visita di Alvar Aalto, era una bimba e, insieme a tutti gli abitanti di questo paesino di montagna, lo accolse calorosamente.

Il PODCAST dell’intervista è disponibile qui su Radio Frequenza Appennino






Si vinca solo in sogni straordinari (tappa 2, Riola)

“Lo capisco se mi prendi per le mele
Ma ci passo sopra, gioco e non mi arrendo
Ogni giorno riapro i vetri e alzo le vele, se posso prendo
Quando perdo non sto lì a mandar giù fiele e non mi svendo
E poi perdere ogni tanto ci ha il suo miele
E se dicono che vinco, stan mentendo
Perché quelle poche volte che busso a bastoni
Mi rispondono con spade o con denari
La ragione diamo e il vincere ai coglioni, oppure ai bari
Resteremo sempre a un punto dai campioni (tredici è pari)
Ma si perda perché siam tre volte buoni
E si vinca solo in sogni straordinari” (*)
(*) tratto da “Canzone di Notte N. 3”

Ascoltando questa canzone, con l’accenno ironico nel primo verso (“lo capisco se mi prendi per le mele”), mi è tornata in mente la storia della Mela Rosa Romana. Proprio quella di cui abbiamo parlato recentemente qui su La Voce della Montagna.

In effetti l’ironia di questi versi non sembra rendere onore ad una storia come quella della Mela Rosa. Però, nel finale di questa strofa, c’è quell’accenno ai “sogni straordinari” che si sposa alla perfezione con questo progetto.
L’idea di recuperare e valorizzare questo antico frutto è proprio un “sogno straordinario”. Una pazza idea venuta ad un gruppo di persone che, nell’intervista ad Antonio Contini Carboni, ho paragonato ai “Quattro amici al bar” di Gino Paoli. Forse questi amici dell’appennino bolognese non puntavano a “cambiare il mondo” come i ragazzi della canzone. Ma sicuramente hanno dato vita ad un progetto che potrebbe cambiare l’economia agricola di questi territori.

Di tutto questo abbiamo parlato nel podcast della tappa odierna a Riola.

Lungo i valichi dell’Appennino (tappa 1: Sasso Marconi)

“…E quei sandali duravan tre mesi
Poi distrutti in rincorse e cammino
Quando è stata quell′ultima volta
Che han calzato il tuo piede bambino
Lungo i valichi dell’Appennino…”
(*) tratto dalla canzone “L’ultima volta” di Francesco Guccini

Ogni volta è la stessa cosa. Solitamente accade quando lascio l’autostrada a Sasso Marconi per infilarmi sulla Porrettana. E’ a quel punto che mi coglie una sensazione particolare. Quel cielo, le nuvole, le montagne… E’ lo stesso panorama che si vedrebbe anche dall’autostrada. Ma qui, un passo fuori dal mondo, tutto appare diverso: come in una dimensione alternativa. E’ una sensazione difficile da descrivere. Avevo anche pensato di fotografare quel cielo. Ma non sarebbe la stessa cosa: bisogna venire qui per provare questo piacevole senso di “sfasamento”.

Oggi a Sasso Marconi però ci sono arrivato a piedi. E proprio da questi ho preso spunto. Ho pensato a quel “piede bambino” che, nel testo della canzone di Guccini, calcava “i valichi dell’Appennino”. E qui a Sasso Marconi, restando in tema di “piedi”, ho scoperto una realtà molto interessante: il CSI Sasso Marconi.
Questo gruppo sportivo, attivo da 60 anni, è una polisportiva nel vero senso della parola. Propone così tante discipline sportive che non provo nemmeno a citarle. Sicuramente qualcuna me la scorderei.
La cosa che mi ha colpito più di tutte è l’escursionismo che la polisportiva propone a bimbi e ragazzi. Loro la chiamano “Outdoor Education”. Si traduce in escursioni, settimane itineranti, percorsi, anche impegnativi, sulle vie dell’Appennino (e non solo quelle).

E’ un modo di vivere lo Sport al quale, molto probabilmente, non siamo più abituati. Non solo agonismo e competizione ma anche, e soprattutto, attività sportiva come momento di socializzazione, come un’occasione per essere Comunità.

Di tutte queste cose ho parlato con Valerio Brecci volontario della polisportiva e sportivo che, ormai da tanti anni, guida i ragazzi nelle escursioni e collabora alle attività del CSI Sasso Marconi.

Il PODCAST dell’intervista è disponibile qui su Radio Frequenza Appennino



Come un istante deja-vu, ombra della gioventù (tappa 1: Bologna)

Eccomi qua, finalmente. Oggi inizia il mio #CamminoEpafànico sulla Via Francesca della Sambuca. 100 km a piedi da Bologna a Pistoia. Un pellegrinaggio Giacobeo… ma anche qualcosa in più. Sto forse cercando “l’isola non trovata” ? Noooo, certo che no! Quello che voglio fare è semplicemente attraversare questi territorio con gli “occhi, spalancati sul mondo come carte assorbenti”.

Ma c’è un problema! Questa strada, via Zamboni. La via dell’Università. Questo angolo della città sta di fronte a me, “come un istante deja-vu, ombra della gioventù”. E non è mica facile affrontare la nostalgia. Ma non è tutto racchiuso dentro a via Zamboni.
E allora il ricordo vola indietro, fino a Santa Lucia, “al portico dei Servi per Natale” quando pure io “credevo che Bologna fosse mia”, Devo ammetterlo: io non “portavo allora un eskimo innocente”. Però è vero: il mio outfit era “dettato solo dalla povertà”. Ma questo, a distanza di molti anni, è quello che pensa ancora mia figlia quando mi dice che io mi vesto come uno fuggito da Auschwitz (e qui la canzone non c’entra).

Arrivando a Bologna pensavo che avrei trovato una spunto nella canzone che porta il nome della città: Ahhh! “Bologna per me provinciale, Parigi minore”. Invece ci sono un sacco di canzoni che, in un modo o nell’altro, sono legate a questa città e, di conseguenza, alla mia gioventù.

Questa mattina è stato difficile lasciarsela alle spalle: Bologna intendo, perché la gioventù invece è già bella che andata 😅)

(tutti i virgolettati sono tratti da canzoni di Guccini, al lettore lascio il divertimento di scoprire quali)


Il Sinai bolognese

Ho passato la domenica mattina sul “Sinai” della montagna bolognese. State tranquilli: non ho portato giù una nuova release dei 10 comandamenti. Anche perché io, nelle vesti di Mosè, sarei un po’ troppo “anarchico” (del tipo: Art. 1 : sono abrogati i 10 comandamenti; Art. 2 : fate un po’ quello che potete). Non funzionerebbe mica!🤔
Allora vi spiego come è andata. Storicamente, intendo.


Ieri sono andato al Santuario di Montòvolo che è dedicato alla Beata Vergine della Consolazione. Sembra risalire, sulla base della data riportata nella lunetta, all’anno 1.211. Però sorge sui resti di un probabile tempio pagano già presente nei primi secoli D.C.
Quello che mi ha colpito maggiormente, anche grazie alla presentazione fatta dai bravissimi volontari che gestiscono il sito, è stato l’oratorio di Santa Caterina d’Alessandria. Ed è qui che inizia la Storia. Io la racconto a modo mio, ma deve essere andata più o meno così…
Siamo nel 1217. Papa Onorio III fa un giro di telefonate per organizzare la V Crociata. Io immagino che tutti i sovrani europei, all’inizio, siano rimasti un po’ freddini (ancora memori della infame IV Crociata). Alla fine si mettono d’accordo e si parte: l’obiettivo è conquistare la città portuale di Damietta, sulla foce del Nilo.
L’azione militare è un successo e i crociati conquistano la città. Poi però iniziano a litigare tra francesi e italiani (e qui si capisce da dove nascono i mali dell’Unione Europea). Mentre i cristiani si scannano tra di loro gli arabi si riprendono la città. Così i “nostri” devono tornare a casa con le pive nel sacco. Ma, al rientro, portano con sé un’idea geniale, una start-up di successo: rifare il Sinai a Bologna! 😳
L’idea non è malvagia. Sul Sinai (quello vero) c’è il Monastero di Santa Caterina d’Alessandria. E il pellegrinaggio fin là garantisce l’indulgenza dai peccati. I templari pensano: basta costruire un edificio dedicato a Santa Caterina e il gioco è fatto. Poi, per l’assoluzione dai peccati, non sarà mica necessario attraversare il Mediterrano per scannare musulmani. A quel punto basterà uscire a Sasso Marconi, seguire la Porrettana e arrivare a Montòvolo. E’ geniale! Una sorta di Low Cost dell’indulgenza plenaria. (se ci fosse già stato Lutero non l’avrebbe presa bene😅)


Ed è così che è nato il “Monte Sinai bolognese”.
Io ci ho passato solo una mattina, però mi sento già “indultato” dai miei peccati.
Comunque, per le cazzate che sto scrivendo, dovrò fare un altro giro (oppure, in alternativa, dovrò organizzare una nuova crociata)

Modena e Nuvole

“Modena e Nuvole: come il Messico ma con le ciliegie🍒 in più”
E’ domenica, sto tornando dalla montagna e seguo il corso del Panaro. C’è questo cielo spumeggiante. E’ una tentazione irresistibile: ogni 100 metri mi tocca fermare l’auto per scattare una foto.
Problema🤔: 100 metri è anche la distanza tra un venditore ambulante di ciliegie e l’altro. Mi trovo nell’Eden del palato! Anche questa è una tentazione alla quale non si può resistere. Quindi inizio a fare il pieno di duroni.
Voglio dire: Adamo ed Eva mangiavano solo mele🍏 e lo chiamavano “Paradiso Terrestre”🤢 (oggi sappiamo invece che, molto probabilmente, la Genesi era ambientata nella Val di Non😳). Ma se i nostri due “progenitori biblici” fossero passati di qua, tra Fanano e Spilamberto, come l’avrebbero chiamato? L’Olimpo?
Comunque, “Eden” oppure no, prima di arrivare a Vignola ho già svuotato il portafogli e riempito il baule di duroni. Per espiare questo peccato di gola dovrò passare le prossime 2 settimane in bagno.
E’ il giusto contrappasso per Andrea Piazza: dal Paradiso del palato al “Purgatorio” del peccato😅

Trekking del Doccione: il ritorno sull’Appennino

“Meriggiare pallido e assorto sotto a un inquietante muro storto”. Eugenio perdonami la storpiatura ma questa mi è uscita così.
Domenica 30 maggio. Devo provare il nuovo filtro della Nikon (acquistato in Lockdown e mai usato). Colgo l’occasione mi faccio il giro alle cascate del Doccione.

Poco dopo la partenza, uscendo da Fellicarolo, trovo questo rudere. Niente tetto, 2 pareti che stanno su per opera dello Spirito Santo e una strepitosa finestrella che si affaccia sulla valle. Come posso resistere?
Guardo ancora una volta questo “edificio dimezzato”. Pietre accatastate a secco. La parete di fronte è vistosamente piegata. Lo capisci subito che può venire giù in un attimo. Ma io devo entrare, devo andare a scattare la “foto dalla finestra”. Nonostante la minaccia di quei quintali di pietre che incombono sulla mia testa (e sulla Nikon, che forse vale più della testa🤔).
Cos’è che spinge noi fotografi a cercare un soggetto da immortalare dentro a una cornice? A chiudere il ritratto dentro un riquadro? Io adesso l’ho capito. Come avrebbe detto il prof. che mi interrogò alla maturità: è il desiderio di tornare all’utero materno😳. Un luogo chiuso, protetto, sicuro: questo rappresenta la foto “in una cornice”.

FLASHBACK
Ai miei tempi bisognava scegliere due materie da portare alla maturità. La mia scelta cadde su Telecomunicazioni e Italiano (perché il nostro mitico prof. Marozzi ci aveva fatto innamorare della Letteratura, dell’Arte e della Storia).
Il commissario esterno inizia a chiedermi del Montale. Il meriggiare pallido e assorto… il rovente muro d’orto… i cocci aguzzi di bottiglia… il mare… e, dice lui, il desiderio di ritorno all’utero materno. Io lo guardo come farei con un marziano… pietà, noi siamo un istituto tecnico, mica il reparto di psichiatria per premi Nobel. 😅
FINE DEL FLASHBACK

Alla fine esco sano e salvo da quel rudere e l’escursione si conclude tranquillamente.
Tappa ai Taburri e poi discesa verso le cascate del Doccione.
Faccio in tempo anche a sbagliare strada😟 ed iniziare la salita alla vetta del Libro Aperto. Fortunatamente mi fermo in tempo. Oggi questa non era tra le mie tappe, però, in futuro, un giretto in cima si potrebbe fare.
Escursione non troppo impegnativa ma molto interessante per scoprire alcune bellezze dell’Appennino Modenese.
[TO BE CONTINUED…]

Sulla riva d’un mare di nuvole

L’antefatto risale a circa un anno fa. Ottobre 2019: dopo una breve escursione sulle montagne della Sambuca, sto bevendo un caffè a Molino del Pallone. Si avvicinano due signori bolognesi. Io confesso che sono lì per fotografare i colori dell’autunno. Loro mi suggeriscono che, se voglio davvero vedere quei colori, allora devo andare nella Valle dell’Orsigna. Non l’avessero mai detto: che quando io mi metto in testa una cosa…

Ottobre 2020: ritorna l’autunno e con esso la voglia di salire sull’Appennino. Che poi Orsigna, la montagna di Tiziano Terzani, non è un luogo qualsiasi ma assomiglia a un frammento di Himalaya sull’appennino toscano. E allora via…Però la vita non segue mai la strada che avevi progettato. E così, sul sentiero verso il Rifugio Portafranca, mi faccio rapire da quei due “malandrini” di Maurizio Pini e Francesca Risaliti. Io volevo andare in montagna e loro invece mi portano in riva al “mare”: un oceano fatto di nuvole sulla vetta del Monte Gennaio. Aveva proprio ragione Paolo Rumiz: “Arrendersi allo stupore è la chiave di tutto… il viaggio non è fatto per quelli che hanno smesso di meravigliarsi della vita”