La magia dei boschi della Sambuca

“Io fu’ ‘n su l’alto e ‘n sul beato monte,
ch’i’ adorai baciando ‘l santo sasso…”

Oggi, per usare le parole di Cino da Pistoia, ero ancora sul “beato monte” dove visse e morì colei che, sempre nelle parole del poeta stilnovista, aveva i “più begli occhi che lucesser mai”, ovvero Selvaggia dei Vergiolesi.
E qui finalmente ho capito chi è Andrea Piazza: è la reincarnazione di un poeta dello Stil Novo che è costretto a vivere in questa epoca scevra di sentimenti e di passioni… e niente, mi sa che ho sbagliato millennio 🙂

La V ed. di “Genti e Borghi della Sambuca” è stata ampiamente penalizzata dal meteo ma un manipolo di coraggiosi, tra i quali il sottoscritto, ha sfidato le “avverse nubi” per attraversare la via Francesca da Pavana fino al Castello di Sambuca. E’ veramente emozionante camminare su quelle strade, ancora ampiamente lastricate come in origine, sulle quali posarono camminarono i pellegrini di mille anni fa.

Chiariamo subito una cosa: non ho incontrato, come era invece capitato sabato scorso, Francesco Guccini. Però nei boschi di Pavana abbiamo incrociato un branco di cinghiali. Probabilmente, a giudicare dalla dimensione, una nidiata al seguito della mamma. Si fanno sempre incontri “eccitanti” nei boschi della Sambuca.
Chi mi conosce sa quanto sia forte la mia passione per questi monti. Però ieri è stato diverso, imprevedibile. E’ come se queste montagne avessero sempre qualche sorpresa in serbo. Il timore per il maltempo e la paura per i temporali si sono trasformati, molto presto, in sorpresa e stupore.

Sono sempre gli stessi boschi, già attraversati diverse volte, ma oggi, nella leggera foschia di un temporale accennato, quei boschi hanno assunto l’aura incantata di un ambiente fiabesco. I boschi della Sambuca riescono ogni volta a rinnovare la loro magia.
E per finire mi sono lasciato sedurre anche a tavola provando, per la prima volta, i Necci alla ricotta… un Amore al primo assaggio. E riprodurli qui in pianura sarà la prossima sfida per il qui presente #PasticciereTrotzkista

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Profondità appenninica

Oggi (30 giugno), per l’ennesima volta, è saltata un’escursione pianificata da tempo. Volevo ripiegare sempre sulle Dolomiti ma poi ho pensato “Troppo casino! Troppi mammiferi della mia specie”. E quindi, alla fine, il cuore mi ha riportato qui sull’appennino.

Mi sono trovato di fronte a questo ponte medievale. A prima vista solo un mucchio di vecchie pietre, ma è un mucchio di pietre che ha attraversato la profondità dei secoli. E’, a suo modo, un “ponte del tempo”. Un angolo di Toscana che magari potrebbe anche sfuggire allo sguardo superficiale del turista distratto. E allora mi sono seduto e ho iniziato a riflettere, la montagna serve anche a questo. 
Viviamo in una società piena zeppa di superficialità dove è stata messa al bando la “profondità”. E anche questo canale (internet, social network…) dove sto scrivendo è solamente, in buona sostanza, un “megafono di superficialità”. Forse sarà perché la superficialità si vende bene? perchè è un bene di consumo di massa? Ma io mi sono fatto un’idea diversa.

Io penso che in ognuno di noi ci sia (o meglio ci potrebbe essere) qualcosa di molto profondo. Però la profondità spaventa. Ed è per questo motivo che, molto spesso, ci accontentiamo della superficialità senza scendere più giù. Affrontare la “profondità” è difficile perché significa affrontare te stesso. E una volta trovato “te stesso”, ammesso e non concesso di trovarlo, poi è un casino gestirlo. Perché “tu è” un guazzabuglio di emozioni e contraddizioni insanabili. Insomma un gran bel grattacapo. E poi, a volte, la profondità è chiusa in una confezione così ermetica che, per tirarla fuori, è necessaria una ferita profonda capace di lacerare quella confezione sigillata.

Inoltre la profondità di una persona è ingombrante, per sé e per gli altri. Invece la superficialità è come un tavolo pieghevole da pic-nic: la smonti e la porti dove vuoi. E’ quindi comprensibile che le persone, molto spesso, rinuncino alla propria profondità per nascondersi sotto la superficie, come in un gioco pirandelliano di maschere. E’ più facile e forse anche più conveniente.
Ma a questo punto una domanda sorge spontanea: io che cazzo la pago a fare una psicoterapeuta se la “psico-analisi” mi viene così bene? In una vita precedente devo essere stato il fratello serio di Woody Allen.

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