Quattro passi nel letto del grande fiume

La siccità dei record, mai così poca pioggia negli ultimi 200 anni. Così è stata definita questa arsura che sembra non aver fine. Ma io volevo guardarla negli occhi e allora, sabato mattina, mi sono concesso una passeggiata nel letto del “grande fiume” (o sedicente tale).
Lo scenario è desolante. Un rigagnolo quasi stagnante ecco come si presenta quel fiume che, con la rete dei suoi affluenti, dovrebbe essere l’arteria vitale della pianura padana.
Quando, dopo tanto camminare, ti trovi di fronte ad un po’ di acqua la scena è quasi “moseitica” (lo so che il termine non esiste, ma suonava molto figo). Solo che Mosè, di fronte a Mar Rosso, dovette provare un senso di onnipotenza. Tu invece qui, di fronte a questo fiume “evaporato”, provi solo un senso di sconforto e inquietudine.

Quella che, in altri periodi dell’anno, viene chiamata “isola” adesso la raggiungi a piedi. Potrebbe essere quasi un Mont Saint-Michel fluviale della bassa padana. Se non fosse che qui le maree c’entrano poco.
E lì, sull’isola al centro del Po, la flora resiste e si aggrappa alle ultime tracce di umidità.

Ma non finisce mica qui. Sono sicuro infatti che, tra pochi mesi, torneremo qui per documentare l’ennesima piena straordinaria. E via così a colpi di eventi climatici abnormi. Perchè “Global Warming” vuol dire questo: vivere in un mondo dove la normalità è un lusso perduto.

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Faraway, So Close!

Forse sarà perché, venendo in qua, stavo ascoltando gli U2. Tutte le volte che penso a questo posto mi viene in mente la canzone “Faraway, So Close!”: Così lontano, così vicino.
Monte Isola è proprio questo, un micro cosmo lontano da tutto eppure al centro della mondo (o perlomeno al centro della Lombardia, senza alludere ad un’ipotetica Teoria Tolemaico-Padana).

Ma perché uno decide di andare su un’isola? Forse per cercare se stesso? Beh io ho trovato… una giornata di sole. Ed è già qualcosa. A parte gli scherzi fin da ragazzo mi ha sempre affascinato questo luogo. Ma solo oggi ho ceduto alla tentazione di attraversare col traghetto quegli 800 metri di acqua.

Arrivando qui, all’uscita dell’ultimo tunnel, sono stato sopraffatto dall’estasi causata dal panorama. L’affaccio sul lago di Peschiera Maraglio dominata, poco più in alto, dal Santuario della Ceriola. E nel mezzo del lago l’isoletta di San Paolo. Non riuscivo a staccare gli occhi dal panorama, ho smesso di ascoltare il navigatore e di seguire i segnali. Risultato: strada sbagliata e chissà quante multe avrò beccato.

Dopo lo sbarco a Peschiera Maraglio mi sono lanciato subito nella salita alla Ceriola. La pendenza, nella prima parte, spezza le gambe poi diventa più dolce. I sentieri sono spesso lastricati e, in alcuni casi, si trasformano in una cementata a prova di scooter. E infatti, per una sorta di “contrappasso lacustre”, ho rischiato di essere investito da uno Yamaha Neo’s come il mio.
Su questa isola “Scooter” è la parola chiave. Non vedevo così tanti motorini tutti insieme dai tempi di Hanoi. E comunque in Vietnam c’erano più auto, qui ovviamente nemmeno una. Proprio quello che dicevo prima “Così lontano…”.

Qui gli abitanti sono comunque dei bresciani. Ma su questo dettaglio non mi soffermo perché, relativamente alle popolazioni “trans-moreniche”, il mio giudizio è viziato da una visione Tolemaico-Mantovana. Ovviamente sto scherzando, per quelle poche cose delle quali ho avuto bisogno sono stati tutti molto gentili e disponibili.

Questa uscita comunque è stata solo una mezza improvvisata e quindi, prima o poi, voglio tornare con più calma. E comunque non sarò riuscito a carpire tutti i segreti di Monte Isola ma una cosa l’ho trovata: la Spongada. Un dolce tipico della Valcamonica che, prossimamente, voglio provare a cucinare pure io… per sentirmi un po’ Camuno.

Galeotto fu l’8 settembre!

Sarò forse un inguaribile romantico ma non resisto al fascino di certe storie.
Il caro Sante mi ha fatto “cuccare”, per la seconda volta, la mostra fotografica su Campeda: quindi adesso sono io a meritarmi l’appellativo di Santo 🙂

Ma la storia dei suoi genitori, narrata in uno dei cartelli, ha sempre un fascino da film hollywoodiano.
Siamo nel ’43, dopo l’armistizio è il caos totale. Scattano i rastrellamenti dei giovani che vengono arruolati, al centro nord, nell’esercito della Repubblica di Salò.
Domenico Ballerini, che ha già regalato ai Savoia 10 anni da soldato, ora ne ha le palle piene. Così scappa, come tanti altri giovani, sulle montagne. La destinazione, per lui che vive a Molino del Pallone, è il piccolo borgo di Campeda.
C’era già stato una sola volta in vita sua. Ma ora, al suo ritorno come “imboscato”, vi incontra Maria Vivarelli. E i due vivranno per sempre felici e contenti… dando alla luce il nostro Sante.
Galeotto fu l’8 settembre! Non è forse materiale per un colossal romantico in stile Hollywoodiano? #vacanzaunaetrina

I Cobra con la pipa

Nel 2014, proprio qui in Campeda, feci la scoperta di una storia a me ignota (perché, lo ammetto, ero ignorante).

E’ la vicenda della FEB (Força Expedicionária Brasileira) che partecipò, con 25mila uomini, alla liberazione dell’Italia proprio qui, sulla Linea Gotica.

Mi colpì la vicenda di questi soldati brasiliani mandati, dall’altra parte del mondo, a liberare un popolo con il quale non avevano nulla in comune.

E ciò che mi fa impazzire, ancora oggi, è l’autoironia nel nomignolo adottato da questi soldati: i “Cobra Fumanti” (il loro stemma infatti è un Cobra con la pipa).
Il nome e lo stemma derivano, per un ironico contrappasso, dalla dichiarazione, rilasciata allo scoppio del conflitto, dal Presidente del Brasile: “è più facile che un serpente fumi che il Brasile entri in guerra”.
La FEB ci insegna due cose:
1) si può affrontare anche la guerra senza perdere l’autoironia;
2) I politici sono sempre pessimi come profeti, qui come in Brasile.

Fuori dai boschi, l’arrivo a Pavana

Dico subito che la risposta è NO.

Lo so cosa volete sapere ma, qui a Pavana, NON abbiamo incontrato Guccini.

Siamo passati davanti alla sua casa ma, per ovvie ragioni di privacy, ho evitato di fotografarla.

La foto al cartello del paese invece è un “must”. Ho visto gente farsi il selfie di fronte ad esso.

Io ho preferito immortalare la diga e il bacino artificiale costruiti, dalle Ferrovie nel 1925, per elettrificare la linea Porrettana. Non so se abbia un pregio architettonico ma, nella sua peculiarità rispetto alle solite dighe, questo manufatto di inizio ‘900 mi affascina.

Le altre foto testimoniano la giornata nei boschi campedani e la nuova disciplina olimpica che voglio lanciare: il salto del tronco. #vacanzaunaetrina

Una ferrovia risorgimentale

L’immagine già postata da Molino del Pallone mostra, non a caso, la stazione. E adesso vi beccate la filippica sulla Porrettana 🙂

La ferrovia detta appunto “Porrettana” è la linea transappenninica che collega Bologna e Pistoia. Con i suoi numerosi viadotti e gallerie fu una sorta di “TAV dell’800”.

All’epoca era una linea fondamentale per il collegamento tra il Nord e l’Italia Centrale.

L’idea di questa ferrovia venne proposta, nel 1845, al Granduca di Toscana. Lo stesso Cavour, in uno scritto del 1846, sottolineava l’importanza di questa strada ferrata. La costruzione, in quella fase di mutamenti geo-politici, venne confermata dal Regno di Sardegna quindi, successivamente, portata a termine dal neonato Regno d’Italia.

Cercando queste informazioni ho scoperto, per caso, che all’epoca tra i progetti dell’impero austro-ungarico c’era una linea Reggio Emilia – Borgoforte. Il progetto, che per gli austriaci aveva un’enorme valenza strategico-militare, venne poi abbandonato dal Regno d’Italia.

Le valli attraversate dalla Porrettana sono un fantasma di quelle dell’800. Le ha svuotate l’emigrazione nel ‘900. E la ferrovia oggi resta appesa ad un filo, sotto la spada di Damocle della chiusura.

Ma esiste anche una proposta per farne un patrimonio Unesco. #vacanzaunaetrina

Nei boschi di Campeda

Un esercito di alberi si muove minaccioso. Non siamo nel Macbeth bensì nei boschi di Campeda.

Non ho mai visto una montagna così friabile e degli alberi così “inclini” a cercare l’abbraccio del suolo. Questo è l’appennino di Campeda, piccola frazione del comune di Sambuca Pistoiese.

Sempre guidati dal mitico Sante Ballerini abbiamo scoperto questo piccolo agglomerato di case dalla storia pluri-secolare.

Campeda, ultimo baluardo del Granducato di Toscana, si affaccia sulla valle del Reno. E di fronte a noi, sul versante opposto della vallata, possiamo ammirare Granaglione e Lustrola (in provincia di Bologna).

Io ero già stato qui nel 2014 ma ogni volta è una scoperta. Questo minuscolo agglomerato di case, con la chiesetta del ‘600, è tenuto vivo da un manipolo di volontari costituito dai proprietari delle case del borgo.

La montagna, abbandonata alla sua sorte, piano piano si sta riprendendo la terra occupata, per molti secoli, dagli umani. Ed è un peccato perché l’erosione della montagna cancella un territorio ricco di Storia e, in questo modo, consegna all’oblio la sua Memoria.

Questa è da sempre terra di confine e, come tale, ricca di storie.

È stata il teatro di una guerra che, per un anno durissimo (1944-45), ha diviso l’Italia sulla Linea Gotica. Una terra che ha pagato col sangue la sua resistenza antifascista.

Domani la mia #vacanzaunaetrina prosegue nei boschi in direzione Pavana.

Eccoci qui, nella valle del Reno

In questa prima giornata sull’appennino pistoiese ci siamo regalati, grazie alla guida appassionata e coinvolgente di Sante Ballerini , una visita all’antico borgo di Sambuca. Un luogo da favola.

Eccoci qui, nella valle del Reno: con un piede a Bologna e l’altro a Pistoia.

Ci siamo “arrampicati” alla scoperta della rocca medioevale ove visse, per alcuni anni, Selvaggia dei Vergiolesi: la donna che ispirò il poeta stilnovista Cino da Pistoia.

Abbiamo visitato la pieve dei Ss. Jacopo e Cristoforo restaurata, grazie all’impegno pluridecennale di alcuni volontari che, a questa chiesa di origine romanica, hanno dedicato tutta una vita.

Il piccolissimo borgo, disabitato per buona parte dell’anno, sorge su un diverticolo della via Francigena (che qui prende il nome di via Francesca). All’imbocco del percorso c’è pure un locale attrezzato a bivacco per i viandanti.

Ho firmato molte volte per la campagna “I luoghi del cuore” promossa dal FAI e, ovviamente, non ho mancato di farlo anche qui per il Castello di Sambuca. Ma è solo in un posto così, come questo borgo sperduto sull’appennino, che puoi capire fino in fondo il concetto di “luogo del cuore”.

Domani, meteo permettendo, la #vacanzaunaetrina prosegue nei boschi tra Campeda e Posola.